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venerdì 2 ottobre 2009

La celiachia

Tra tutte quelle agli alimenti, l’intolleranza al glutine è la più grave: perché è permanente, nel senso che non si può guarire, e perché se non si prendono le dovute contromisure, influisce pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre.
In Italia ad avere questo problema sono tanti: secondo l’Associazione italiana (Aic), le stime parlano di una persona ogni 100-150.
Ma che cos’è il glutine?
Una sostanza proteica che si trova in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. Questo significa che i celiaci non può più mangiare alimenti comuni come il pane, la pizza, la pasta e i dolci.
Assumendo il glutine, infatti, una persona che ha questa intolleranza subisce un grave danno alla sua mucosa intestinale: l’organismo reagisce infatti aumentando la produzione dei linfociti (le cellule difensive) che vanno a colpire i villi intestinali, una sorta di tubi sottili che servono ad assorbire gli alimenti.
Conseguenza: i villi si atrofizzano e cessano di svolgere la loro funzione. E in poco tempo si comincia a soffrire di carenze di calcio, ferro e vitamine.
La diagnosi certa della celiachia non è semplice. Specie se si pensa di poter fare affidamento solo sui sintomi.

Infatti, esistono segnali che indicano una potenziale intolleranza al glutine di una persona:

  • dimagramento o ingrassamento
  • improvvisi e ingiustificati, gastrite, diarrea, mal di testa ricorrente, stanchezza, unghie e denti fragili
Ma non sono sempre inequivocabilmente indicatori di celiachia.
Questa patologia, infatti, può assumere connotati anche diversi: nei bambini, per esempio, è più facile individuarla perché la carenza di vitamine provoca un rallentamento nella crescita.
Negli adulti, invece, devono insospettire anche un’anemia che non si risolve o l’osteoporosi in giovane età, problemi collegati alla fertilità, cicli mestruali irregolari.
La forte reazione dell’organismo, di fronte all’assunzione del glutine, influisce anche sull’equilibrio ormonale.
I passaggi sono due: anzitutto, lo specialista deve richiedere un prelievo di sangue con cui individuare gli anticorpi caratteristici della malattia; in secondo luogo – se l’esame risulta positivo – ci si dovrà sottoporre a una biopsia intestinale, tramite una gastroscopia.
L’unico modo per curare la celiachia, oggi, è anche il più semplice: eliminare completamente dalla propria tavola quotidiana il glutine.
Certo, mettere in atto una terapia come questa significa dire addio ad alimenti tanto comuni quanto buoni come pane, pasta, biscotti e pizza; ma vuol dire anche preoccuparsi che su ogni pietanza che si consuma non vi sia la benché minima traccia di farina, per esempio, o di un altro alimento “vietato”. Insomma: il sacrificio non è da poco, implica uno sforzo notevole dal punto di vista dell’educazione alimentare.
Per fortuna, rispetto al passato, le opportunità per mangiare in tutta sicurezza non mancano ai celiaci. Da anni, ormai, in tutta Italia sono sparsi ristoranti e pizzerie ad hoc, persino negli autogrill c’è un menu “gluten free”, i cibi per celiaci si trovano nei negozi biologici, al supermercato, in farmacia…

La forfora

Tutti conosciamo la forfora e quella sgradevole sensazione che si prova quando, guardandosi allo specchio o parlando con qualcuno, ci accorgiamo di quella antiestetica polvere bianca sulle spalle.
Tecnicamente, si tratta di una desquamazione eccessiva del cuoio capelluto ed è una lieve forma di dermatite seborroica.
A provocarla è l’eccessiva proliferazione, nel sebo, di un piccolo fungo chiamato Malassezia. In questo caso, il cuoio capelluto si infiamma e comincia a desquamarsi.
La forfora può essere di due tipi: grassa o secca.
La prima è segno di un’infiammazione più acuta e spesso porta con sé anche prurito; la seconda è il segnale invece di un problema più leggero.
Ma perché si presenta?
Diversi studi scientifici confermano che all’origine del problema c’è in parte una componente costituzionale, in parte una predisposizione familiare.
La forfora non è altro che la conseguenza di questa desquamazione e va combattuta fin dall’inizio con cure mirate, che solo il dermatologo potrà consigliarvi.
Di solito lo specialista prescrive shampoo specifici antiforfora, che contengono sostanze antimicotiche (cioè contro i funghi) e che, usati con costanza, riusciranno ad attenuare il rossore della cute. C’è una condizione,però, perché la terapia abbia successo: bisogna rispettare alla lettera i tempi e le indicazioni prescritte dallo specialista. Ciò significa che gli shampoo devono essere usati all’inizio almeno due-tre volte alla settimana, e poi si dovrà continuare il trattamento come prevenzione. In questo caso basterà fare lo shampoo anti-forfora una volta a settimana.
Anche se la forfora non si cura solo a tavola, l’alimentazione ha comunque un peso importante per la sua comparsa.


Perché il cuoio capelluto rimanga in buona salute bisogna abbandonare (o per lo meno ridurre drasticamente) :

  • fritture e latticini,
  • zuccheri e nicotina
  • prediligere, invece, frutta e verdura fresche, lievito di birra e pappa reale.


Le ricette “della nonna” più tramandate sono due:

  • La prima consiste nel preparare una frizione a base si aceto e ortica. Si fanno bollire in 0,75 l di acqua e mezzo litro di aceto 100 g di foglie di ortica per circa 30 minuti. Si filtra il tutto e dopo lo shampoo si friziona sulla pelle e sulla radice dei capelli un grosso batuffolo intriso di questo liquido. Si attendono 10 minuti e poi si versa sulla testa il liquido rimasto. Alla fine, si risciacqua la testa.
  • La seconda ricetta ha per protagonista l’uovo. Si miscelano in una ciotola 3 tuorli di uova montati con un bicchiere di acqua tiepida. Si massaggia con questa soluzione il cuoio capelluto e si lascia in posa per 15 minuti. Infine si sciacqua tutto aggiungendo una spruzzata di aceto nell’acqua del risciacquo.